49+1 capolavori al Museo d’Orsay – Parigi

Non è un mistero per nessuno che il Museo d’Orsay nasceva più di un secolo fa, precisamente nel 1900 in occasione dell’Esposizione Universale, dalle ceneri di una stazione ferroviaria. Ma forse in pochi sanno che in precedenza era stato anche sede della Corte dei Conti.
Questo spiega l’imponenza della costruzione, la sua ampiezza, la sua funzionalità rispondente al bisogno dell’uomo moderno di andare e venire liberamente, senza essere incapsulato in camminamenti stretti o in angoli angusti con lunghe code e conseguenti attese.


Percorrendo il grande salone centrale ci troviamo approssimativamente in corrispondenza dei vecchi binari, circondati da sculture dell’eclettismo della seconda metà dell’Ottocento.
A sinistra le sale dedicate ai grandi numi dell’Accademia e del Romanticismo (Delacroix, Chassèriau) e a destra le opere di Courbet e dei maestri del realismo.
Proseguendo la visita sui tre diversi livelli, si ha modo di conoscere l’evoluzione dell’arte occidentale in un periodo di eccezionale fermento, che vede l’affermarsi dell’impressionismo e il suo superamento nel cosiddetto post-impressionismo (ricordiamo che tale tendenza, tra i suoi maggiori esponenti, annovera artisti del calibro di Georges Seurat, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Vincent van Gogh, Henri de Toulouse-Lautrec), il manifestarsi alle esposizioni ufficiali di correnti naturaliste e simboliste; tale periodo si estende dal 1848 fino al 1905 circa per la pittura, e fino al 1914 per gli altri settori dell’arte.

Nel museo sono infatti contemplate tutte le arti visive della seconda metà del XIX secolo, dai generi tradizionali fino alla cinematografia, che è stata definita l’ultima invenzione di un secolo “affarista in fatto di immagini”.

In questo servizio, per ovvii motivi di spazio, non abbiamo potuto comprendere tutte le opere esposte e per questo ci si è limitati ad una breve raccolta accompagnata da una sintetica descrizione delle opere più significative composte dai pittori più noti, peraltro fornita dallo stesso  Museo d’Orsay. Una apposita sala era riservata alla collezione di Vincent Van Gogh che potrete guardare cliccando QUI

Una menzione a parte ci sentiamo di farla per la tela di Claude Monet: “La stazione di St. Lazare a Parigi” che abbiamo deciso di mettere come immagine di copertina.  L’artista non fu certo il primo ad immortalare il mostro di metallo che correva sui binari, ma si deve dare atto che egli riesce a cogliere il gioco delle luci e dei vapori imprigionati sotto la volta, i colori degli edifici che circondano la stazione e il movimento dei treni. Inventa così il paesaggio urbano e moderno di cui lo scrittore e critico d’arte E. Zola dirà nel 1877: “Monet ha presentato quest’anno degli interni di stazione superbi. Vi si avverte il boato dei treni, vi si scorge il fumo che s’innalza e si diffonde sotto i vasti capannoni. E’ questo oggi far pittura…I nostri artisti devono esprimere la poesia  delle stazioni, come i loro padri avevano scoperto quella delle foreste e dei fiumi”.

Per far questo, abbiamo dovuto naturalmente trascurare la stragrande maggior parte dei bellissimi capolavori presenti nel Museo,  e di questo ci scusiamo.

L’ordine in cui li presentiamo è lo stesso ordine presente nel Museo al momento della nostra visita, con le salette riservate ai pittori che si susseguono dal piano terra fino al piano superiore , passando per quello intermedio.

Eugène Delacroix
1. Caccia ai leoni (schizzo)

Nel 1854, il responsabile dell’Amministrazione delle Belle Arti incarica Delacroix di eseguire “un quadro del quale dovrà sottopormi il soggetto ed il bozzetto”. L’artista sceglie di riprendere un tema al quale pensava già dal 1847, quando ammirava le incisioni ricavate da Le Caccie di Rubens. Questa Caccia ai leoni rappresenta il bozzetto di un grande quadro finale consegnato nel 1855 ma sfortunatamente danneggiato a seguito di un incendio divampato nel 1870 nel museo di Bordeaux.

In questo lavoro preparatorio, l’influsso di Rubens è altresì evidente nella composizione strutturata dal colore piuttosto che dal disegno. (..)
Malgrado una difficoltosa identificazione degli elementi iconografici, al centro della tela, è visibile la figura di un cavallo impennato. In un’inestricabile e violenta mischia, i corpi degli animali sono distribuiti in un turbinio costruito sulla base di tre colori primari: blu, rosso, giallo e dominato dalle tonalità calde. L’armonia dei colori che caratterizza l’opera finita piacque tanto a Baudelaire che, a tal proposito, scrisse:
“Mai colori più belli, più intensi, penetrarono fino all’anima attraverso gli occhi”.

 

Théodore Chassériau
2. Tepidarium

Questo quadro ottiene un buon successo al Salon del 1853, Théophile Gautier lo definisce un “affresco antico sottratto al muro di Pompei”. L’atmosfera erotica che si sprigiona dalla tela, non è affatto estranea a tutto questo entusiasmo. Il languore delle pose e degli sguardi, la promiscuità dei corpi privi di forze evocano una tipica atmosfera da harem. L’antichità di Chassériau assume un profumo d’Oriente, di esotismo romantico e di vivace sensualità. L’idea che le usanze voluttuose del mondo antico sopravvivano ancora nel XIX secolo nel mondo arabo è molto frequente nei viaggiatori francesi.

Alexandre Cabanel
3. La nascita di Venere

La Nascita di Venere è uno dei grandi successi del Salon del 1863 dove era stata acquistata da Napoleone III per la sua collezione personale. Cabanel, pittore pluripremiato, esercita un ruolo molto importante nell’insegnamento delle Belle Arti e nella direzione del Salon. Il suo stile virtuoso fa di questa pittura un perfetto esempio dell’arte che, in quegli anni, conquistava il consenso del pubblico e degli organismi ufficiali.(..)
Cabanel riprende un episodio famoso della mitologia antica: Venere, al momento della sua nascita, viene posata su una spiaggia dalla schiuma di mare. Questo tema, che conosce un enorme successo nel XIX secolo, dà ad alcuni artisti l’occasione di affrontare l’erotismo senza scandalizzare il pubblico grazie all’alibi di un soggetto classico. Per Cabanel, infatti, la mitologia funge da pretesto per affrontare il nudo la cui idealizzazione non esclude la lascivia.

 

William Bouguereau 
4. Dante e Virgilio

Per questo quadro, l’autore attinge ad un breve episodio narrato da Dante nell’ultima bolgia dell’ottavo cerchio del suo Inferno (dove sono puniti i falsari). Qui, Dante e il suo accompagnatore Virgilio, assistono alla zuffa tra due anime dannate: Capocchio, eretico e alchimista è morso al collo da Gianni Schicchi il quale aveva usurpato l’identità di un uomo già deceduto per impossessarsi della sua eredità. (..)

Il pittore, in quest’opera rivela una grande audacia. Egli si abbandona ad una sorta di esplorazione dei limiti estetici: esacerbazione delle muscolature, che arrivano fino alla deformazione espressiva, eccesso delle posture, contrasti cromatici e delle ombre, figure mostruose e drappelli di dannati.

5. Le Oreadi

Le Oreadi sono ninfe delle montagne e delle grotte (la più nota delle quali è Eco), famose per le loro uscite in schiere veloci e festanti per scovare il cervo, inseguire il cinghiale e trafiggere con le loro frecce gli uccelli rapaci. Al segnale di Diana, le Oreadi accorrono per prendere parte agli esercizi della Dea e per formare attorno a lei un festoso corteo. (..)
La mitologia, inoltre, dà al pittore la possibilità di avventurarsi nel registro erotico (lo sguardo concupiscente dei Satiri è, a questo proposito, privo di ambiguità), senza per questo cadere nella volgarità.
Con questo volo di corpi femminili, Bouguereau realizza un quadro di una fantasia sfrenata, senza dimenticare una nota poetica ravvisabile nel paesaggio crepuscolare dello sfondo, degno di Corot e mescolato con accenti simbolisti.

Edward Burne-Jones
6. La Ruota della Fortuna

“La mia ruota della Fortuna è un’immagine vera; essa ci viene a cercare quando giunge il nostro momento, poi ci schiaccia”, scrive Burne-Jones in un commento struggente e disincantato. L’opera illustra in modo esemplare l’interesse che l’ artista nutre per i miti classici e per le leggende medievali, in cui confluiscono una sfuggente sensualità e un sentimento di inquietudine e che rendono il suo simbolismo uno dei più aspri. Questa opera raffigurante la Fortuna è una delle sue composizioni più intense. La ruota occupa il corpo della tela in tutta la sua lunghezza, dall’alto in basso, in un movimento inesorabile di salita e di discesa, mentre la gigantesca ed implacabile dea fa da “pendant” alle figure degli indifesi mortali: uno schiavo, un re ed un poeta.

Edgard Maxence
7. La leggenda bretone
La leggenda bretone, opera risalente al periodo della maturità artistica del pittore, è una delle composizioni simboliste più ambiziose di Edgard Maxence. La scena, illuminata da una splendida luna piena rossa, mostra una giovane donna vestita con l’abito della festa di Pont-Aven e che, rifugiatasi presso un dolmen, sembra terrorizzata alla vista di una figura femminile che potrebbe essere una fata o una maga con indosso una pellanda di ermellino sopra un abito ricamato con motivi tradizionali e che, con tutta probabilità, le annuncia un funesto presagio come conferma la presenza di korrigan rossi, piccoli folletti malefici tipici delle leggende bretoni. (..)
L’opera si fa eco del movimento di affermazione dell’identità culturale bretone che, durante la Belle époque, conosce una fase di espansione. Con una certa dose di umorismo, il pittore rappresenta un confronto tra i due aspetti della Bretagna.
Da un lato, la Bretagna cristiana, famosa per il suo fervore puro e austero e raffigurata dalla giovane contadina e, dall’altro, la Bretagna magica e pagana, simboleggiata dalla fata e dai korrigan che avanzano tra gli allineamenti megalitici.

Pierre Puvis de Chavannes
8. Il povero pescatore

Il Povero pescatore è il primo quadro di Puvis de Chavannes comprato dallo Stato.Tuttavia, questa opera suscitò vivaci reazioni durante il Salon del 1881 tanto che, la sua acquisizione, avvenne soltanto nel 1887 (..)
Senza false illusioni, Puvis voleva mostrare in modo esauriente l’indigenza e la rassegnazione raffigurando un padre vedovo e i suoi due bambini in un paesaggio desolato. La scelta del pescatore è legata indubbiamente alle risonanze bibliche del tema. Nel 1881, il carattere sintetico del quadro, il suo rifiuto del modellato e della prospettiva tradizionale, il suo chiaroscuro di tonalità verdastre, suscitarono la disapprovazione della la maggior parte dei critici. (..)
Alcuni artisti della generazione seguente, da Seurat a Gauguin e Maurice Denis, per non parlare di Picasso, si entusiasmarono per la sobrietà estrema e straziante di questa immagine silenziosa. Puvis diventava così il pioniere della nuova pittura.

Gustave Moreau
9. Orfeo

Nella mitologia greca, il genio poetico e musicale di Orfeo era tale da ammansire perfino le belve feroci. Il giovane ebbe però la sfortuna di conquistare anche le Menadi che, dopo la morte di Euridice lo punirono tagliandolo a pezzi perché egli non aveva ceduto alle loro profferte. Gustave Moreau prolunga il mito restituendoci l’immagine di una giovinetta adorna di monili orientali con in mano la testa del poeta. (..) La testa del poeta giace sulla sua lira, mentre la giovane donna la guarda con aria afflitta e malinconica. (..)
La composizione obliqua ricorda una carta da gioco, in cui ai musicisti dell’angolo superiore sinistro si contrappongono in basso a destra le tartarughe, il cui guscio, secondo il mito, era servito per fabbricare la prima lira. (..)
Per i motivi finora addotti, Moreau è considerato come una figura fondamentale del simbolismo.

Jacques-Emile Blanche
10. Ritratto di Marcel Proust

Jacques-Emile Blanche, ritrattista stimato degli anni ottanta del XIX secolo, ci consegna un’immagine giovanile di Proust, qui raffigurato all’età di 21 anni, quando era ancora un semplice cronista mondano. Blanche sviluppa per l’occasione una tecnica brillante e rapida; tuttavia, in questo caso, il ritratto è caratterizzato da una grande compostezza e riveste un’importanza particolare.

Il giovane dandy è rappresentato in posizione frontale, in una posa ieratica (il quadro in origine era, con ogni probabilità, un ritratto in piedi). Il contrasto tra i toni molto scuri dell’abito e dello sfondo e l’incarnato del viso e del collo, impreziosito da un fiore di orchidea bianca all’occhiello, è particolarmente sorprendente. La nitidezza dei contorni, la materia fluida, la delicatezza della pennellata sono a servizio di una autentica interiorità. Il giovane Proust, dai grandi occhi scuri, dalla bocca sensuale è già un po’ più di un semplice dandy: l’ovale perfetto del suo viso, il pallore della sua carnagione gli conferiscono un aspetto solenne, addirittura cristico. Il che spiega molto bene il motivo per il quale questo ritratto è ancora oggi la rappresentazione più conosciuta e più corrispondente al vero di colui che, di lì a poco, scriverà “Alla Ricerca del tempo perduto”. Proust ha tenuto questo quadro fino alla sua morte, avvenuta nel 1922.

Giovanni Boldini
11. Il conte Robert de Montesquiou

Nel 1897 a Boldini viene commissionato il ritratto del conte Robert de Montesquiou. L’artista riceve l’incarico da Madame Veil-Picard, amica comune di entrambi. Il pittore è fortemente attratto dalla personalità di questo letterato, simbolo dell’esteta contemporaneo e nuova incarnazione del dandy baudelairiano.

L’opera riflette sia la complessità del rapporto pittore-modello, sia le teorie sul “ritratto moderno” enunciate da Montesquiou in un articolo dedicato, per l’appunto, a Boldini, apparso sul numero di gennaio del 1901 di Les Modes e intitolato”I pittori della donna, Boldini”. Il conte sostiene che l’arte del ritratto non sta nella verità fotografica ma è da rintracciare nella commistione sulla tela tra l’identità del pittore e quella del modello. Boldini sarebbe dunque il ritrattista moderno per eccellenza poiché, nelle sue pitture, pur svelando le caratteristiche più radicate del modello esprime il suo personale giudizio. (..)
Boldini ha voluto forse introdurre una leggera punta d’ironia nei confronti dell’estetismo forsennato di Montesquiou? Questa è proprio il modo in cui, un folto numero di commentatori contemporanei, ha interpretato il ritratto.

Gustave Courbet
12. Un funerale a Ornans

Alla fine dell’estate 1849, Courbet si dedica alla composizione del suo primo quadro monumentale. Si prefigge di farne la sua “esposizione di principio” ed esprime la sua ambizione intitolando l’opera: Quadro di figure umane, narrazione di un funerale a Ornans. L’artista si ispira ai ritratti collettivi delle guardie civiche olandesi del XVII secolo, la sontuosità dei neri ricorda invece l’arte spagnola. (..)
Inizialmente considerato come anticlericale, in seguito si ritenne che, in una composizione dominata dalla figura del Cristo in croce e in cui gli esponenti del clero, un sindaco e un giudice massone sono rappresentati fianco a fianco, circondati da uomini e donne di ogni condizione sociale, l’ideale che affiora e traspare dalla tela è proprio quello di una “intesa universale”, preoccupazione costante del XIX secolo e, in particolar modo, della generazione del 1848.

13. La bottega del pittore

E’ certamente la composizione più misteriosa di Courbet il quale ne fornisce, tuttavia,alcune chiavi di lettura: “È il mondo che viene a farsi dipingere da me” precisa l’autore, “a destra gli eletti, ovvero gli amici, i lavoratori, gli appassionati del mondo dell’arte”. A sinistra, gli altri, coloro che conducono un’esistenza banale, il popolo, la miseria, la povertà, la ricchezza, gli sfruttati, gli sfruttatori, le persone che vivono della morte altrui”.
Tra i primi, nella parte destra della tela, riconoscibile per il suo profilo barbuto, il pittore ha collocato il mecenate Alfred Bruyas, alle sue spalle, in posizione frontale, il filosofo Proudhon. Il critico Champfleury e’ seduto su uno sgabello, mentre Baudelaire e’ assorto nella lettura. La coppia in primo piano simboleggia gli intenditori d’arte e, accanto alla finestra, i due amanti rappresentano l’amore libero. (..)

Ernest Meissonier
14. Campagna di Francia, 1814

Il metodo adottato da Meissonier si inscrive nel movimento di realismo storico che invade pittura e scultura durante il Secondo Impero. L’episodio raffigurato, benché si verifichi dopo molte vittorie, annuncia le prossime sconfitte. Nessuna azione, nessun avvenimento, ma un’atmosfera di solitudine e di sconforto. I dubbi e la rassegnazione degli ufficiali e della truppa sono ben visibili e contrastano con la ferma determinazione di un isolato Napoleone. Questi sentimenti sono sottolineati dalla gamma di colori: l’intera scena è dominata da tonalità marroni e grigie, dall’indolenza e dallo scoramento delle truppe. I protagonisti non calpestano una neve vergine ma un suolo fangoso.

Emile Bernard
15. Madeleine nel Bosco dell’Amore

Emile Bernard ha appena compiuto venti anni quando dipinge questo ritratto a grandezza naturale della sorella Madeleine di 17 anni. L’artista la raffigura distesa nel Bois d’Amour sul limitare del villaggio bretone di Pont-Aven, un bosco reso celebre da Il Talismano di Sérusier.
Il corpo della ragazza occupa tutta la larghezza della tela dividendo la composizione in due parti: un paesaggio, dipinto nel chiuso della bottega dopo accurati studi condotti sul posto occupa i due terzi del quadro e la giovane che giace sdraiata, anche questa eseguita direttamente in bottega. Le due parti coesistono senza unità malgrado il parallelo calcolato tra l’atteggiamento di Madeleine e il fiume Aven che scorre dietro gli alberi. La luce, la pennellata, persino i colori sono diversi. Queste esitazioni, tipiche di un giovane pittore di gran talento, passano quasi inosservate in ragione del carattere simbolico del quadro. Non si tratta, infatti, di una scena realista ma di un ritratto dai toni allegorici della giovane Madeleine della quale Gauguin si era innamorato. Ella appare immersa in un sogno ad occhi aperti, intenta ad ascoltare le voci divine della natura.

Paul Gauguin 
16. Due donne tahitiane

Nel 1891 Gauguin si reca a Tahiti, isola che, nel suo immaginario, appare paradisiaca e primitiva. L’artista desidera “vivere in questo luogo d’estasi, di calma e d’ arte”. Le sue difficoltà finanziarie, le sue preoccupazioni estetiche e questo “invito al viaggio” di stampo prettamente baudelairiano lo spingono lontano per sfuggire a “questa lotta europea contro il denaro”, per essere “libero finalmente”.
Questa composizione è tipica delle opere dipinte agli inizi del suo primo soggiorno nel Pacifico. Si tratta di tele che mostrano spesso donne tahitiane intente nello svolgimento di semplici incombenze quotidiane.


17. Il Pasto
Gauguin dipinge Il Pasto nei primi mesi di permanenza a Tahiti. Nonostante l’artista desideri raffigurare la vita dell’isola, le sue prime tele sono alquanto studiate e poco autentiche. L’opera in questione non raffigura un vero e proprio pasto ma è una scena composta al momento che mette insieme due generi distinti: in primo piano, una natura morta che giustifica il titolo del quadro e, sullo sfondo, tre bambini in fila: due maschi ed una femmina.

La dimensione della natura morta è singolare. Il pasto a base di banane da cuocere, chiamate fei in tahitiano, occupa quasi un quarto della composizione raffigurante dei frutti molto grandi dal colore che tende al vermiglio e la cui ombra violetta viene proiettata sulla tovaglia. In evidenza anche la dimensione imponente del recipiente di legno scolpito contenente il latte di cocco ma che era tradizionalmente utilizzato per preparare il pesce. Per completare la sua composizione ed aggiungere macchie di colore, Gauguin vi inserisce una ciotola occidentale di maiolica, una zucca utilizzata per travasare i liquidi e vari tipi di frutta: una guaiava incominciata e alcuni aranci. Un coltello messo per obliquo indica la profondità dello spazio. La tovaglia bianca, con le sue pieghe messe bene in evidenza, costituisce anche una reminiscenza delle composizioni di Cézanne e di Manet.

18. Arearea
Sull’isola polinesiana, l’artista si ispira a quello che vede ma anche ai racconti del posto e alle antiche tradizioni religiose per raffigurare scene di fantasia. Arearea rappresenta una di quelle opere in cui sogno e realtà convivono felicemente.

In primo piano, troviamo diversi temi, certamente a lungo osservati poiché ricorrono di frequente nei quadri di questo periodo. L’opera raffigura due donne sedute al centro della tela, un albero che taglia in due la superficie del quadro e un cane rosso. Il cielo non è stato rappresentato, la successione di piani di diverso colore, verde, giallo, rosso, forma la struttura della composizione.
Nella scena raffigurata in secondo piano, frutto di fantasia, un gruppo di donne tributano un culto ad una statua. Gauguin ha ingigantito una piccola divinità maori portandola alle dimensioni di un grande Budda e immagina un rito sacro. L’insieme dà luogo ad un universo incantato, armonioso e melanconico, in cui gli uomini vivono sotto la tutela degli dei, circondati da una natura lussureggiante, in una Polinesia arcaica ed idealizzata.

Aristide Maillol
19. Donna con l’ombrello

Questo ritratto a grandezza naturale è caratterizzato dalla volontaria assenza della profondità. Il profilo di questa giovane donna che è stato sobriamente delineato tramite un disegno efficace e raffinato, spicca su uno sfondo raffigurante un paesaggio in riva al mare. La posa deliberatamente studiata conferisce alla tela una certa rigidità che non è per nulla attenuata dal sollevamento ricercato dei nastri dell’abito. L’eterogeneità tra la figura e lo sfondo indica chiaramente che il ritratto è stato dipinto in bottega ed inserito su un paesaggio privato di ogni particolare, realizzato tramite una sovrapposizione di strisce colorate. Distante dalle sensazioni di plein air ricercate dagli impressionisti, Maillol dipinge una figura immobile, classica e decorativa. Questo personaggio visto di profilo, su uno sfondo senza profondità, ricorda un arazzo nella cui arte Maillol si è ugualmente distinto.

Léon Belly
20. Pellegrini diretti alla Mecca

Per questo quadro, considerato sin dalla sua presentazione come un capolavoro della pittura orientalista, Belly sceglie di riprodurre su una tela di un formato particolarmente imponente un soggetto ambizioso. L’opera mostra una lunga carovana in marcia nel deserto, diretta verso La Mecca, città santa dell’Islam e luogo di pellegrinaggio dei musulmani.

Al Salon del 1861, per i suoi Pellegrini Belly ottiene una medaglia di prima classe, il più prestigioso riconoscimento. Il pubblico è molto colpito dall’effetto suggestivo prodotto dal lungo corteo che avanza verso lo spettatore.

Claude Monet
21. L’Hotel des roches noires a Trouville

Nel corso dell’estate del 1870, alla vigilia della guerra franco-prussiana, Claude Monet soggiorna a Trouville in compagnia della giovane moglie Camille, che ha sposato il 28 giugno. L’Hôtel des roches noires a Trouville, come numerose tele di Eugène Boudin il cui influsso si rivelò determinante sul giovane Monet, è un affresco della vita mondana balneare della grande borghesia del Secondo Impero. L’opera, tuttavia, rivela anche l’originalità della fattura di Monet e costituisce un magnifico esempio dell’audacia tecnica del pittore. La sua pennellata, allusiva e rapida, crea l’impressione dello sventolio delle bandiere e anima un cielo attraversato da nubi dai contorni incerti. Lo sviluppo verticale della tela accentua ulteriormente il contrasto tra la stabilità delle figure, collocate nella parte bassa della tela, ed il movimento degli elementi esposti al vento, situati nella parte superiore del quadro. La bandiera in primo piano è particolarmente valorizzata dalla presenza di strisce rosse e bianche, dipinte facendo ricorso a pennellate molto libere.

22. Londra, Il Parlamento
Figura irreale e fantomatica, il Parlamento sorge come un’apparizione. L’architettura di pietra sembra aver perso ogni consistenza. Cielo ed acqua sono dipinte con le stesse tonalità, dominate dal malva e dall’arancione. In questa tela, la pennellata è sistematicamente frammentata in molteplici macchie di colore che delineano efficacemente la densità dell’atmosfera e della foschia. Paradossalmente, questi elementi impalpabili diventano più tangibili rispetto all’edificio indistinto e avvolto nell’ombra.

23. Il Ponte di Argenteuil
Nel quadro qui raffigurato, il primo piano è occupato da barche a vela ormeggiate. Gli effetti di luce sugli alberi delle imbarcazioni ed anche sulle coperture dei tetti delle abitazioni visibili sulla sponda in secondo piano, permettono giochi di colori complementari (arancione e blu) che accentuano la vivacità della luce. Il Ponte di Argenteuil rivela una diversità nella fattura: contorni ancora chiusi degli elementi solidi o architetturali, come le imbarcazioni a vela ed il ponte, fluidità omogenea dell’acqua in primo piano, pennellata spezzata che compare sui riflessi in secondo piano.

24. I carbonai
Questa scena in cui sono raffigurati alcuni operai al lavoro, è del tutto inconsueta nell’opera di Monet. La Senna, in questo caso, non è il luogo festoso e spensierato in cui si svolgono le regate ma è il fiume che trasporta le chiatte. Gli argini non sono circondati da alberi ma da ciminiere fumanti. Le persone che la domenica passeggiano spensierate e allegre lungo il fiume, cedono il posto agli scaricatori di carbone che svuotano le stive delle chiatte per rifornire le fabbriche vicine.
Il quadro non contiene certamente una critica sociale: il punto di vista distante privilegia il paesaggio urbano in cui si svolge un normale spettacolo di vita quotidiana. Tuttavia, i toni spenti che vanno dal verde al grigio, conferiscono a tutta la scena un’atmosfera ovattata. Le figure, in controluce, private della loro personalità, disposte in file parallele dal ritmo meccanico sulle passerelle, sono altresì l’immagine della triste e misera condizione operaia.

25. Le Ville a Bordighera
Con questa tela, Monet desidera realizzare un grande pannello decorativo destinato al salotto di Berthe Morisot. All’inizio dell’anno 1884, la pittrice annuncia alla sorella Edma : “Comincio ad entrare in intimità con i miei colleghi impressionisti. Monet vuole ad ogni costo regalarmi un pannello per il mio salotto. Puoi immaginare quanto tutto questo mi faccia piacere”.
Quest’opera esprime la luminosità mediterranea e il fascino che la natura di questa regione esercita sul pittore.

26. La Rue Montorgueil a Parigi
La rue Montorgueil, come la sua gemella La rue Saint-Denis, viene spesso vista come una celebrazione del 14 luglio, festa nazionale francese. Il dipinto, infatti, è stata realizzato il 30 giugno 1878 in occasione della festa “della pace e del lavoro”, istituita quello stesso anno dal governo.
Questo quadro mostra una veduta osservata ad una certa distanza di un paesaggio urbano, ad opera di un pittore che non si mischia alla folla ma che si limita ad osservarla da una finestra. I tre colori che Monet fa vibrare sono quelli della Francia moderna.

27. La stazione Saint-Lazare
Nel 1877, dopo aver trovato un alloggio nel quartiere di Nouvelle Athènes, Claude Monet chiede il permesso di lavorare all’interno della stazione di Saint-Lazare, che rappresenta uno dei confini di detto quartiere. La stazione era senza dubbio il luogo ideale per chi era alla ricerca delle variazioni di luminosità, della mutevolezza del soggetto, delle nubi di vapore e di temi radicalmente moderni. Da ciò scaturisce una serie di pitture raffiguranti prospettive diverse tra cui alcune vedute della grande hall. Nonostante l’apparente geometria dell’architettura metallica, in questo caso, sono proprio gli effetti di colore e di luce a prevalere e ad imporsi su una descrizione dettagliata delle vetture o dei viaggiatori. Alcune zone, veri e propri esempi di pittura pura, sfociano in una visione quasi astratta.

Pierre-Auguste Renoir
28. Le bagnanti
Questo quadro è emblematico delle ricerche che Renoir portò avanti verso la fine della sua vita. A partire dal 1910, l’artista ritorna su uno dei suoi soggetti preferiti: la raffigurazione di nudi en plein air ai quali riserva quadri di grande formato. Renoir celebra in queste opere una natura atemporale, dalla quale è bandito ogni riferimento al mondo contemporaneo. Le bagnanti possono così essere considerate come il testamento pittorico di Renoir, che muore nel dicembre 1919. È proprio in quest’ottica che i suoi tre figli, tra i quali il cineasta Jean Renoir, hanno regalato il quadro allo Stato nel 1923.

Le due modelle distese in primo piano e le tre bagnanti che si intravedono giocare sullo sfondo della composizione hanno posato nel grande giardino piantato ad ulivi delle Collettes, dimora che il pittore possedeva a Cagnes-sur-Mer nel Sud della Francia. Il paesaggio mediterraneo si riallaccia alla tradizione classica dell’Italia a della Grecia, quando “la terra era il paradiso degli dei”. “Ecco quello che voglio dipingere”, era solito ripetere Renoir. Questa visione idilliaca è caratterizzata dalla sensualità dei modelli, la ricchezza dei colori e la pienezza delle forme.

29. L’altalena
Un uomo di spalle si rivolge ad una giovane donna in piedi su un’altalena, sotto gli occhi di una fanciulletta e di un altro uomo appoggiato ad un tronco d’albero. Renoir ci dà l’impressione di sorprendere una conversazione: l’artista fissa, come in un’istantanea fotografica, il gioco di sguardi che convergono verso l’uomo di spalle. La giovane donna distoglie lo sguardo, come se provasse imbarazzo. A questo quartetto in primo piano, corrisponde il gruppo dei cinque personaggi sullo sfondo che Renoir, con qualche pennellata, ha rapidamente tratteggiato.
Anche nel caso di L’altalena, Renoir ha soprattutto cercato di tradurre gli effetti di sole che illuminano la scena filtrati dal fogliame. Le vibrazioni luminose sono rese per mezzo di macchie di colore chiare, specialmente sugli indumenti e in terra.

30 – 31. Ballo in città. Ballo in campagna
Renoir aveva una predilezione per le scene di ballo. Questi due quadri sono stati pensati per essere l’uno il pendant dell’altro: essi sono, infatti, dello stesso formato e i personaggi, praticamente a grandezza naturale, rappresentano due aspetti diversi, addirittura antitetici del ballo. All’eleganza discreta dei ballerini di città, all’austerità del salone in cui si esibiscono, si contrappone la vivacità della danza di campagna all’aria aperta. .

La coppia trascinata dalla musica non si è forse alzata da una tavola non ancora assettata e il cui disordine è accentuato dal cappello caduto in terra in primo piano? La lista delle contrapposizioni tra i due pannelli potrebbe continuare e riguardare perfino la gamma di colori, fredda per l’abito di Suzanne Valadon, la modella di Ballo in città, calda per Aline Charigot, futura sposa di Renoir che presta i suoi lineamenti sorridenti alla ballerina di campagna. Tuttavia, al di là di queste differenze, le due coppie sembrano unite da uno stesso movimento, come se ciascuna impersonasse una sequenza di uno stesso ballo. (..)
Il disegno diventa più preciso e la semplificazione della tavolozza rompe con le pennellate vibranti delle tele anteriori. Renoir stesso confessava che questa maggiore attenzione per il disegno corrispondeva ad un’esigenza di rinnovamento nata dopo che l’artista aveva avuto la possibilità di ammirare le opere di Raffaello in Italia.

Jozsef Rippl-Ronai
32. Soldati francesi in marcia

Nel 1914, Rippl-Rónai, che abita già da diversi anni nel suo paese natale, è di passaggio in Francia. La sua famiglia viene a sapere dell’entrata in guerra mentre si trova Issy-L’Évêque. Rippl-Rónai conosce allora la sorte della maggior parte degli stranieri che vivono in Francia al momento della mobilitazione: sospettato di essere una spia della doppia monarchia austro-ungarica, è ben presto internato insieme alla sua famiglia in un campo nella regione di Mâcon. Qui l’artista realizza una serie di ritratti e scene raffiguranti il trambusto della guerra in atto.

Soldati francesi in marcia è la tela più riuscita di questa piccola raccolta. In essa, Rippl-Rónai riesce a cogliere l’agitazione della folla e l’atmosfera carica di impazienza propria della mobilitazione.

Paul Cézanne
33. I giocatori di carte

Negli anni novanta del XIX secolo, l’artista tratta a più riprese questo tema di ispirazione caravaggesca e conferisce alla partita un carattere estremamente austero. All’ ingegnoso intreccio di gesti e di sguardi, Cézanne sostituisce le figure massicce e la concentrazione silenziosa dei personaggi.
La bottiglia sulla quale si riflette la luce, costituisce l’asse centrale della composizione. Essa separa lo spazio in due zone simmetriche, il che accentua la posizione contrapposta dei giocatori. (..)
Delle cinque tele che il pittore dedica a questo tema, questa è una delle più spoglie. In quest’opera, tutto contribuisce a conferire un aspetto decisamente monumentale alla composizione, favorendo così un cromatismo dalle sontuose armonie.

34. Una moderna Olympia
Una pittura del 1870, tipica di questo periodo, mostrava già Una moderna Olympia (coll. privata) in risposta alla tela di grande formato di Manet che aveva suscitato scandalo al Salon del 1865.

Alcuni anni dopo, Cézanne affronta di nuovo questo tema. Questa seconda versione, però, è completamente diversa per i suoi colori, luminosi e brillanti e per la sua perfetta esecuzione che fanno pensare alle pitture di Fragonard. Lo stile di Cézanne è all’epoca in piena evoluzione verso l’impressionismo. Proprio durante un soggiorno dell’artista ad Auvers-sur-Oise, a casa del dottor Gachet, il pittore, nella concitazione di una discussione, avrebbe afferrato il pennello per buttare giù questo schizzo colorato.
In questo modo, Cézanne realizza un’interpretazione molto più audace del soggetto di Manet. La contrapposizione tra il nudo della donna spogliata dalla propria domestica nera e l’abbigliamento elegante dell’uomo vestito di nero che, per altro, assomiglia curiosamente a Cézanne e che la guarda da spettatore, contribuisce a conferire alla scena un carattere erotico e teatrale. L’effetto è ulteriormente accentuato dalla presenza della tenda sospesa a sinistra.

35. Bagnanti
A partire dagli anni settanta del XIX secolo e fino alla fine della sua vita, Cézanne realizza diverse composizioni aventi per soggetto bagnanti, uomini o donne che siano. La sua più grande ambizione è di giungere ad una fusione completa della figura umana e del paesaggio.
Ogni elemento viene trattato con la medesima importanza, in una sorta d’architettura comune. L’attenzione del pittore non ricade sulla carne, come in Rodin ma piuttosto sui corpi che strutturano potentemente lo spazio. Il tema dell’acqua è dimenticato e l’universo del quadro si concentra essenzialmente sulla terra. Soltanto la materia liscia delicatamente iridata delle nubi, richiama l’attaccamento di Cézanne all’impressionismo.

36. Natura morta con mele e arance
Benché Cézanne dipinga nature morte sin dagli esordi della sua carriera, questo genere conquista un posto di primo piano nell’opera del pittore soltanto nel periodo della piena maturità dell’artista, epoca alla quale appartiene appunto questa tela.

Il quadro rientra in una serie di sei nature morte realizzate nel 1899 nella bottega parigina di Cézanne. In tutti questi sei dipinti sono infatti presenti gli stessi oggetti: piatti di maiolica, un boccale con decorazioni floreali. Simile è anche il principio di composizione di queste tele: in tutti i sei quadri compare una carta da parati che chiude la prospettiva evocando, in questo modo, le nature morte fiamminghe del XVII secolo. Tuttavia, l’effetto dinamico creato da una costruzione spaziale soggettiva e complessa e da un’altrettanto soggettiva percezione degli oggetti sottolineano l’atteggiamento principalmente pittorico di Cézanne. (..)
La modernità e la sontuosità di Mele e arance fanno di questo quadro la più importante natura morta mai dipinta dall’artista alla fine degli anni novanta del XIX secolo.

37. Il vaso blu
In questa tela, più che alla rappresentazione di fiori sbocciati, Cézanne è interessato alle sfumature di colore. Ancora una volta, il soggetto è posto al servizio di ciò che interessa maggiormente l’artista: lo studio dell’influsso della luce sugli oggetti e sulle gradazioni di colore che ne derivano.

L’apparente semplicità e la sobrietà di questa pittura differiscono molto dall’esuberanza e dalla ricchezza che caratterizzano le composizioni floreali di Renoir. Lo spazio è costruito da un accorto gioco di linee verticali ed orizzontali e da un’appropriata ripartizione dei volumi, mentre l’armonia d’insieme è ottenuta grazie ad un sagace utilizzo di diverse tonalità di blu. La composizione è imperniata su un vaso posto sopra un tavolo.
Una decina d’anni prima, ad Auvers-sur-Oise, Cézanne aveva già dipinto svariati mazzi di fiori ma, in questo caso, l’artista aggiunge un elemento nuovo: alcune mele che risaltano per il loro colore e che evocano le nature morte con diverse varietà di frutta, molto più frequenti nella produzione artistica di Cézanne rispetto ai quadri raffiguranti fiori. Il pittore aveva già dichiarato a Gasquet: “Ho rinunciato ai fiori. Appassiscono subito. I frutti sono più fedeli”. In questo caso, la tela è arricchita dalla presenza congiunta di due temi, un abbinamento che, in passato, è valso all’opera il titolo di Fiori e frutti.

38 – 39. Cristo al limbo
Come testimoniano i documenti d’epoca, il frammento di questo Cristo al limbo apparteneva ad una composizione di maggiori dimensioni. Un’altra opera custodita presso il museo d’Orsay, La Maddalena, componeva quest’insieme anche se non c’è alcuna spiegazione di natura plastica in grado di suffragare quest’accostamento e anche se tra le due figure esiste una notevole differenza di scala. Entrambi i frammenti, custoditi al museo d’Orsay permettono una lettura più approfondita dei temi sviluppati dall’artista. Questi ultimi riecheggiano le convinzioni dell’artista, connubio tra una cultura religiosa di stampo tradizionale e le usanze provenzali. Infatti, la posizione di rilievo riservata a Maria-Maddalena ricorda che, secondo una leggenda medievale, costei avrebbe passato i suoi ultimi giorni ai piedi del massiccio della Sainte-Baume, nei pressi della montagna Sainte-Victoire. Questa figura è posta a fianco della scena che evoca, nella fase intermedia tra la morte e la resurrezione, la discesa di Cristo nel limbo, luogo dove soggiornano le anime dei Giusti morti prima della venuta del Salvatore. Infatti, i personaggi visibili sull’angolo inferiore di sinistra sono molto probabilmente un’evocazione d’Adamo ed Eva.

 

Edgar Degas
40. La Classe di danza

Degas si recava spesso all’Opéra di Parigi non soltanto in veste di spettattore ma intruffolandosi anche dietro le quinte, nel foyer di danza, dove era stato introdotto da un suo amico musicista d’orchestra. (..)
Sin dagli inizi degli anni settanta del XIX secolo e fino alla morte dell’artista, le ballerine raffigurate alla sbarra, alle prove o a riposo diventano il soggetto preferito di Degas, ripreso con un quantità incredibile di varianti nei gesti e nelle posture, in molte sue tele.
Più che dal fuoco sacro dell’arte e dalle luci della ribalta, il suo interesse è catturato dal lungo lavoro di preparazione che sta alla base di ogni rapprersentazione. In questa opera Degas raffigura la conclusione di una lezione: le allieve, del tutto esauste, si riposano: alcune si stiracchiano, altre si piegano per grattarsi la schiena o per sistemarsi l’acconciatura, il costume da ballo, un orecchino, un nastro, prestando poca attenzione all’inflessibile insegnante che, in questo quadro, assume le sembianze di Jules Perrot, un vero maestro di ballo.
Degas ha osservato con attenzione i gesti più spontanei, naturali e abituali dei momenti di pausa in cui la concentrazione si allenta ed il corpo si rilassa, dopo lo sforzo di una estenuante lezione condotta con ferrea disciplina.

Come di consueto, Degas sceglie un angolo decentrato per inquadrare la scena e il forte scorcio è accentuato dalle linee oblique delle tavole del parquet.

41. Le Stiratrici
Degas, che ha spesso ritratto la sua famiglia o i suoi amici, è anche un attento osservatore del mondo del lavoro. Il suo interesse è rivolto soprattutto alle condizioni di modiste e di stiratrici. (..)
Colte nel pieno del lavoro, prostrate dalla fatica, le due stiratrici di Degas sono la testimonianza dello sguardo senza compiacimento ma non privo di tenerezza ed affetto che l’artista sembra rivolgere alla classe operaia.

I gesti di ognuna delle due stiratrici sembrano aver interessato in modo particolare il pittore che cerca di fissare i movimenti effimeri e quotidiani in una rappresentazione che non è né eroica, né caricaturale.

42. L’Assenzio
In un caffé, luogo deputato agli incontri alla moda, una donna ed un uomo, stanno seduti una a fianco dell’altro, ognuno dei due chiuso in un isolamento silenzioso, lo sguardo vuoto e assente, i lineamenti disfatti, l’aria oppressa. L’opera può essere vista come una denuncia della piaga dell’assenzio, una forte bevanda alcolica che, per la sua pericolosità, sarà in seguito messa al bando. (..)

I personaggi raffigurati nella tela sono conoscenti dell’artista. Si tratta di Ellen André, attrice e modella d’arte e del pittore e incisore Marcellin Desboutin. Poiché il quadro intaccava la loro reputazione, Degas sarà costretto a precisare pubblicamente che i due non sono alcolisti.
L’inquadratura decentrata della tela, che tiene conto degli spazi vuoti e che divide in due la pipa e la mano del personaggio maschile, si ispira alle stampe giapponesi. Degas, tuttavia, ricorre a questo tipo di inquadratura per sottolineare i disagi e i malesseri provocati dall’abuso di alcol. Espressiva e significativa è anche la presenza dell’ombra dei due personaggi, riflessa di profilo sul grande specchio alle loro spalle.

43. Prova di balletto
Il punto di vista scelto da Degas per Prova di balletto sulla scena osservata la scena da una posizione leggermente a strapiombo, di lato con lo sguardo focalizzato sullo spazio delimitato dal proscenio. Alla leggerezza delle ballerine che danzano si contrappongono i gesti rilassati delle colleghe in attesa, sulla sinistra. (..)
Il pittore Giuseppe De Nittis così scrive ad uno dei suoi amici: “mi ricordo un disegno che doveva essere una prova di un ballo […..] e, lo garantisco, era molto bello: gli abiti di mussola sono talmente diafani e i movimenti così veridici che, per farsene un’idea, bisogna vederlo; descriverlo è impossibile”.

Georges Seurat
44. Circo

Il tema del circo fu più volte affrontato nel corso degli anni ottanta del XIX secolo, soprattutto da Renoir, Degas e Toulouse-Lautrec (..)
Due spazi si sovrappongono: da una parte quello della pista e degli artisti, ricco di curve, arabeschi stilizzati e a spirale, in tensione dinamica, addirittura in squilibrio; dall’altra quello delle gradinate e del pubblico, rigido, ortogonale, immobile, di una rigorosa geometria. Anche l’ordine dei colori obbedisce a regole precise: il colore primordiale, quello della luce pura, il bianco, domina la tela. La tavolozza abbina poi le tre tonalità principali: il rosso, il giallo e il blu modulati in piccoli tratti metodici che richiamano il ritmo delle linee. Seurat delimita infine il suo quadro con un bordo sobrio dipinto direttamente sulla tela e con una cornice piatta realizzata con la stessa tonalità di blu e che fa parte integrante dell’opera.

Paul Signac
45. Donne al pozzo

Il quadro gioca in effetti sul contrasto simultaneo dei colori, in particolare sull’opposizione verde-rosso/arancione e giallo violetto. Lo spazio della tela è deliberatamente ridotto a due dimensioni, senza alcuna illusione di profondità mentre il modellato si limita al gioco di ombre sul viso. Benché l’effetto di stilizzazione dell’opera sia rafforzato dall’aspetto decisamente ieratico della modella, gli arabeschi presenti sulle maniche, sull’ombrello e dettagli come il fiore stilizzato o il tipo di passamaneria, contribuiscono ad accentuare l’aspetto volutamente decorativo ricercato dall’artista.

46. La boa rossa
L’acqua azzurrognola occupa una gran parte della superficie pittorica tuttavia, i riflessi della case arancioni ne riducono l’estensione. Situata in primo piano, la boa di colore rosso-arancio attira l’attenzione, risaltando nettamente sull’azzurro chiaro dell’acqua del porto, sia per i suoi valori cromatici scuri che per il contrasto dei colori complementari.

Con il neoimpressionismo, un impressionismo di tipo scientifico, non occorre più rendere la spontaneità della prima impressione. Signac non lavora direttamente dal vero ma in bottega sulla base di studi realizzati sul posto.

 

Edouard Manet
47. La colazione sull’erba
Rifiutata dalla giuria del Salon del 1863, quest’opera viene esposta con il titolo Il Bagno al “Salon des Refusés” autorizzato quello stesso anno da Napoleone III. L’opera, motivo di dileggio e fonte di scandalo, divenne la principale attrazione di detto evento.

Tuttavia, per la Colazione sull’erba, Manet rivendica l’eredità dei maestri del passato e si ispira a due opere del Louvre. Il Concerto campestre di Tiziano, all’epoca attribuito al Giorgione, suggerisce il soggetto, mentre la disposizione del gruppo centrale trae ispirazione da un’incisione ispirata ad un’opera di Raffaello: Il giudizio di Paride.
Tuttavia, in Colazione sull’erba, la presenza di una donna nuda in mezzo a uomini vestiti non è giustificata da alcun pretesto mitologico e allegorico. La modernità dei personaggi rende oscena, agli occhi dei suoi contemporanei, questa scena quasi irreale.
La cosa divertiva Manet che aveva soprannominato il suo quadro “Lo scambio di coppie”.

Lo stile e la fattura scandalizzarono quasi quanto il soggetto. Manet abbandona le consuete sfumature per lasciare spazio ai violenti contrasti tra luce ed ombra. Egli viene anche aspramente criticato per la sua “mania di vedere tramite macchie “. I personaggi della tela non sembrano perfettamente integrati in questo sottobosco che funge da scenario e che, invece di essere dipinto, è più che altro abbozzato e dove la prospettiva viene ignorata e la profondità è assente. Con La colazione sull’erba, Manet non rispetta nessuna delle convenzioni ammesse, tuttavia egli impone una nuova libertà rispetto al soggetto e ai tradizionali modelli di rappresentazione.

48. Sulla spiaggia
Manet dipinge questo quadro durante l’estate 1873, nel corso di tre settimane trascorse con la sua famiglia nella cittadina costiera di Berck-sur-Mer. Fa posare sua moglie e suo fratello sulla spiaggia come testimoniano alcuni granelli di sabbia mischiati con la pittura. Suzanne, ben protetta dal sole e dal vento, coperta da una veletta di mussola e con indosso abiti estivi è assorta nella lettura. Eugène, il fratello del pittore e futuro sposo di Berthe Morisot, contempla il mare in lontananza nella stessa identica posizione di dieci anni prima in Colazione sull’erba. I due triangoli che formano i personaggi danno ordine alla composizione. I protagonisti della tela voltano le spalle allo spettatore e ognuno dei due sembra assorto nel proprio universo personale. Questo isolamento conferisce al quadro un’indefinibile impressione di malinconia.

49. Olympia
Con Olympia Manet reinventa il tema tradizionale del nudo femminile per mezzo di una pittura schietta e scevra da compromessi. Il soggetto così come il linguaggio pittorico spiegano lo scandalo che l’opera suscitò al Salon del 1865. (..)
La Venere è diventata una prostituta che, con il suo sguardo, sfida lo spettatore. Di fronte a questa rimessa in causa del nudo idealizzato, fondamento della tradizione accademica, la violenza delle reazioni fu notevole. I critici vilipesero “questa odalisca dal ventre giallo” la cui modernità fu tuttavia difesa da alcuni contemporanei capitanati da Zola.

50. La dama con ventagli
Con questo quadro del 1873, Manet chiude la lunga serie di “dame sul divano”. La modella ritratta è Nina de Callias (1844-1884), una donna lunatica, esaltata e nevrastenica in modo alterno, dotata di un temperamento nevrotico che l’abuso di sostanze alcoliche conduce presto alla follia e ad una morte prematura a trentanove anni. La donna, il cui vero nome è Marie-Anne Gaillard, anche detta Nina de Villard, è paradossalmente conosciuta con il cognome di Hector de Callias, scrittore e giornalista di Le Figaro che, per un breve periodo di tempo, fu suo marito.

All’epoca di questo ritratto, Nina ha appena compiuto trenta anni ed anima uno dei salotti letterari ed artistici più brillanti di Parigi. La donna posa con indosso uno dei suoi costumi “all’algerina” che ama mettere quando riceve ospiti.(..)
In questo quadro vi è forse un’allusione a Olympia, un dipinto risalente a dieci anni prima? Il fatto ci sembra poco probabile. Nonostante le numerose analogie tra le protagoniste delle due tele, raffigurate distese, appoggiate su un braccio, con un animale ai loro piedi (in questo caso un piccolo griffone), ogni elemento, come lo stile, la pennellata, il significato, distingue nettamente un’opera dall’altra. Il viso, in particolare, è uno dei più espressivi di Manet. Esso esprime il divertimento, la complicità e anche la curiosità, con un lieve accenno di malinconia e di smarrimento.

 

 

 

Bibliografia e sitigrafia

  1. I grandi Musei del Mondo – Museo d’Orsay, Parigi. Gruppo Editoriale L’Espresso
  2. Musèe d’Orsay, Laurence Madeline. Nouvelles Editions Scala 2010

Tutti i commenti alle opere sono stati tratti dal sito http://www.musee-orsay.fr

2 commenti

  1. Grazie, tutto bellissimo!

    1. Sei gentile, grazie!

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